Colette lascia il suo piccolo paese di campagna per sposare Willy, un ambizioso imprenditore letterario. L’impatto con una città come Parigi, al massimo del suo splendore bohémien, non è privo di sorprese… ma Colette vi si adatta e scende presto a compromessi anche con lo stile di vita anticonformista e libertino del marito. Mentre il loro rapporto trova equilibrio in una serie di (poche) regole non scritte, le fortune economiche di Willy oscillano sotto il peso del gioco d’azzardo e di spese superflue. Per risollevare i conti in banca, l’impresario chiede alla moglie di provare a mettere per iscritto i ricordi della sua infanzia e adolescenza trascorsa in campagna. Colette dà, così, vita a “Claudine”, un alter ego letterario che – con la firma di Willy in copertina – diventa presto un fenomeno editoriale senza precedenti. Un fenomeno la cui paternità, però, getterà più di un’om- bra sulla relazione tra i due coniugi…
Con Colette, Keira Knightley ritorna al film in costume dando corpo e voce a una delle scrittrici francesi più famose di inizio Novecento. Il biopic racconta, infatti, la storia di Sidonie-Gabrielle Colette e del successo editoriale dei suoi romanzi di formazione.
La storia di questa ragazza di campagna che si scopre scrittrice di talento sotto l’ala di un marito ambizioso e che ne sfrutta, di fatto, le capacità è raccontata in modo estremamente lineare e senza particolari picchi di originalità. Tuttavia, il film ha il pregio non indifferente di offrire allo spettatore un’efficacissima rappresentazione della Belle Époque parigina. Il regista riesce, grazie all’aiuto di ottime scenografie e costumi, a restituire i vizi, le contraddizioni e, allo stesso tempo, l’irresistibile fascino di quel periodo storico.
I protagonisti oscillano in un mondo fatto di leggerezze e superficialità, dove lo scandalo è il pane quotidiano. Questa celebrazione continua dell’anticonformismo, però, finisce per togliere spazio ai personaggi. Colette cresce e cambia come donna all’interno del film, ma è difficile comprendere le ragioni profonde delle sue scelte. La vediamo prima complice del marito, poi insofferente alle sue strategie, poi appassionarsi all’arte mimica e partire in tournée con la sua amante… Manca, insomma, un ritratto vero di quest’anima inquieta che porti sullo schermo le sue paure e i suoi desideri.
Anche il conflitto tra Colette e Willy risente di una sceneggiatura poco attenta alla sostanza. Lo scontro tra due personalità – per molti versi simili – è ridotto, di fatto, ad un’unica scena madre in cui, tra l’altro, il discorso della protagonista suona pericolosamente come qualcosa di “già sentito”.
In conclusione, se, come viene ripetuto più volte nel film, «la mano che tiene la penna scrive la storia», si può affermare che i limiti maggiori di Colette siano ascrivibili proprio alle penne che hanno avuto il compito di raccontare la sua vita sul grande schermo.
Scegliere un film 2019
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