Il povero falegname Geppetto intaglia nel legno un burattino che misteriosamente prende vita. Geppetto gli dà il nome di Pinocchio e si prepara a fargli da padre, ma il burattino rivela presto un’indole curiosa e spericolata che lo porterà molto lontano da casa.
Pinocchio è una favola ottocentesca, non scevra del moralismo di quel periodo, ma che non ci stanchiamo mai di raccontare, come testimoniano i numerosissimi adattamenti cinematografici che si sono succeduti fino ad oggi. Forse perché Collodi è stato capace di trattare temi universali (come il rapporto padre/figlio e ciò che è necessario per diventare umani) con una rara potenza immaginifica, che si presta molto bene a prendere vita sul grande schermo.
Con questo ultimo adattamento, Garrone cerca da una parte di tornare alle origini di questa fiaba, con un’attenzione quasi filologica al testo, e dall’altra la fa profondamente sua, calandola in un universo livido che ricorda da vicino quello di Tale of Tales. Forse dal punto di vista narrativo questa fedeltà all’originale rallenta il ritmo della storia, perché rispecchia la struttura episodica (e tratti illogica) del testo, uscito a puntate in una rivista per bambini e mai concepito come un progetto organico. Ma a livello visivo e di atmosfere il risultato è un mix potente, in cui rivive tutto il fantastico e il grottesco che popola le pagine di Collodi: dalla feroce voracità del Gatto e della Volpe alle incantevoli sequenze con la Fata Bambina che, esattamente come nel romanzo, prima di essere una magica protettrice è una bambina morta. Nell’iconicità di ogni personaggio e di ogni inquadratura si sente il grande lavoro di ricerca, che risale fino alle prime illustrazioni di Pinocchio a opera di Enrico Mazzanti, e che per essere realizzato ha visto scendere in campo un’incredibile squadra di artisti e artigiani (fra cui Mark Coulier, per citarne almeno uno, vincitore di due Oscar per il trucco) a svolgere il lavoro che in contesti diversi sarebbe stato lasciato alla computer graphic: basti pensare che il bambino che interpreta Pinocchio si sottoponeva a sedute di trucco di quattro ore per ottenere l’aspetto “legnoso” che lo caratterizza.
Un grande merito va anche al selezionatissimo cast: Gigi Proietti/Mangiafuoco, Papaleo e Ceccherini nei panni del Gatto e della Volpe, ma soprattutto l’ex-burattino Benigni, che si rivela qua molto più convincente nelle vesti di Geppetto. Le scene fra lui e il giovanissimo Federico Ielapi sono fra le più toccanti e riuscite del film: Garrone aveva particolarmente a cuore il racconto di questa paternità, così insolita quanto universale, e mettendo in scena un Pinocchio tradito dalla sua stessa ingenuità e fame di vita, è riuscito a raccontare il bisogno che tutti abbiamo di un padre che ci accolga e ci perdoni.
Insomma, Pinocchio è sicuramente un film di qualità, che conferma Garrone come uno dei registi più interessanti del panorama italiano. Ma il ritmo e il tono del racconto, che lascia poco spazio al respiro comico, potrebbero renderlo poco coinvolgente per i bambini e non mancano tocchi di grottesco che rischiano di spaventare i più piccoli.
Scegliere un film 2020
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